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Come è noto, dato sia l'interesse che l'emozione suscitati dalla vicenda, la Corte d'Appello di Milano ha emesso un decreto in cui autorizza l'interruzione dell'alimentazione e dell'idratazione medicalmente garantiti ad Eluana Englaro al fine di causarne, gradatemente e con le assistenze farmacologiche del caso, la morte. La decisione del collegio giudicante milanese segue ad una sentenza della Corte di Cassazione con la quale si era stabilito che il giudice di merito avrebbe dovuto svolgere adeguata istruttoria per verificare se, in vita, la sfortunata ragazza avesse manifestato convintamente la volontà di non trovarsi, un giorno, costretta in un letto d'ospedale, incosciente, e condannata a quella dimensione per il resto dei suoi giorni ed in dipendenza di un qualche evento traumatico.
Non è fine di questo post, nè mia volontà, prendere posizione da un punto di vista etico su questa vicenda: troppo legata alla storia personale di ognuno, alla sensibilità particolare dei soggetti coinvolti e dei commentatori la soluzione che si può dare in merito ai dubbi ed alle questioni originate dal triste fatto, che consegna alla storia una giovane donna ridotta in stato vegetativo da un incidente.
Quello che però si vuole e per certi versi si deve fare è soltanto segnalare alcune perplessità che si originano dalle due sentenze ricordate, una della suprema magistratura di legittimità e l'altra, appunto, della Corte milanese.
Infatti, la cassazione raccomanda al giudice di merito di individuare con adeguata istruttoria quale fosse la volontà in merito della sfortunata protagonista della vicenda: ci pare, effettivamente, una forzatura. A parte che si tratta di ricostruire, con prove indirette e in assenza di documenti certamente ascrivibili ad Eluana, la volontà di una giovane in riferimento ad un evento tragico ed eventuale che avrebbe potuto colpirla nel corso degli anni successivi, quello che stride in questa sentenza della Cassazione è questo: mentre per autorizzare la cremazione di un cadavere, in caso di lite fra i suoi eredi sul ricorrere di questa volontà, il giudice deve secondo la giurisprudenza di molti tribunali italiani avere a disposizione uno scritto certamente ascrivibile al defunto in cui questi affermi di volere essere ridotto in cenere una volta morto, qui, per determinare la fine della vita di una persona ci si accontenta di una volontà ricostruita anche per mezzo di testimoni, quindi con una prova appunto indiretta e de relato. Fine della vita che arriverà per sottrazione di cibo ed acqua, quindi per fame e per sete: il che significa che Eluana impiegherà giorni a morire, nei quali il suo corpo, privo degli elementi necessari alla connettività dei tessuti, si disgregherà finchè un arresto cardiaco o un blocco polmonare non metteranno fine all'agonia. E se qualcuno ha certezze scientifiche che in tali condizioni vegetativo-permanenti non si prova dolore, le comunichi.
Ancora, la decisione della Cassazione e quella della Corte d'Appello milanese sembrano ignorare come il codice civile vieti gli atti di disposizione del proprio corpo che cagionino una permanente diminuzione della propria capacità fisica e come il codice penale tuteli la vita al massimo grado, sanzionando persino l'omicidio del consenziente e l'istigazione al suicidio. Di fronte a queste norme è difficile una condivisione giuridica delle argomentazioni dei giudici, i quali danno un ruolo così centrale alla volontà di Eluana, peraltro nemmeno con certezza ricostruita, fino al punto da giustificare, oggi, l'interruzione della somministrazione di liquidi e, in ultima analisi, la sua morte.
Debole è l'argomento che fa capo all'accanimento terapeutico in quanto la somministrazione di acqua ed alimenti non può in alcun modo costituire terapia, ma soltanto alimentazione di un soggetto impossibilitato a farlo da sè (altrimenti, sarebbe "terapeutico" anche alimentare un neonato).
Non del tutto probante è anche l'argomento a tenore del quale si deve lasciare che la natura faccia il suo corso: mancando somministrazione di medicinali e di terapie in senso stretto, la natura è libera di fare il suo corso: a tacere del fatto che l'alimentazione della natura fa parte, senza ombra di dubbio alcuno.
Si potrebbe poi discutere per anni sullo stato biologico attuale di Eluana, che non è di coma irreversibile, ma "vegetativo permanente", situazione su cui buona parte della letteratura medica rifiuta di assimilarlo al coma profondo e senza ritorno che è l'anticamera stessa della morte. Non è, evidentemente, nemmeno uno stato di completa morte cerebrale, dato che non mi pare se ne sia fatto cenno.
Dubbi, quindi, ed incertezze non etiche ma giuridiche non possono non rappresentarsi: il che imporrebbe una presa di posizione del legislatore perchè un giudice, sia pure umanamente sensibile e raffinato come quello che ha scritto la sentenza della Cassazione e particoalrmente esauriente come l'estensore del Decreto di Corte d'Appello, è comunque soggetto alla legge. Ed allo stato attuale, la nostra legge non autorizza in alcun modo decisioni di tipo eutanasico.
Alessandro
La bimba è in gravissime condizioni generali per stato di coma post-traumatico, il padre arrestato, la vigilessa che ha tentato di fermarlo parla e racconta, ma i suoi occhi sono quelli di chi ha visto l'orrore. Un padre in preda ad un raptus violento e irrefrenabile, fuori di sè si accanisce contro la sua bimba, 4 anni: l'età della tenerezza assoluta. La giovane vigilessa ha gridato, ma avrebbe dovuto fermarlo a mani nude. Lei avrebbe voluto certamente fermarlo, ma non ha potuto evitare il massacro compiuto sulla bambina ai piedi dell'altare della patria, a cinquanta metri dal Campidoglio, a due-trecento metri da Montecitorio e dal Senato della Repubblica. Il cuore di Roma civile e politica. Fatti simili sono rari, ma possono accadere. Se i vigili fossero dotati almeno di uno sfollagente forse si sarebbe potuto almeno limitare i danni ad una creatura che aveva diritto ad essere tutelata dalla nostra legge e dai nostri tutori dell'ordine. Invece è stato versato sangue di bambina. Chi difende i deboli e i bambini quando lo stato garantisce indiscriminatamente anche le persone pericolose e non dà strumenti di difesa nemmeno a un vigile urbano?
"Lettera ad una professoressa"
è un testo scritto dagli stessi studenti della scuola di Barbiana, coordinato da Don Lorenzo Milani, un testo nel quale veniva messa sotto accusa la scuola tradizionale classista e nozionista, quella scuola che bocciava i figli dei contadini in quanto cretini.
Nel libro si trovano le esperienze scolastiche dei ragazzi di Barbiana che rappresentano le istanze di riforma dettate dalle esperienze degli studenti maggiormente bisognosi.
Era la realtà della scuola precedente al '68, con le intuizioni profetiche sulla scuola post-68: Portare tutti i ragazzi ad "un livello culturale da renderli partecipi della vita sociale e democratica. "
Obiettivi in teoria senza alcun dubbio positivi e condivisibili, ma la realtà concreta successiva fu molto diversa, perché favorì la diffusione di alcune idee deleterie che avrebbero avuto effetti negativi sulla scuola italiana: a cominciare dalla convinzione che bocciare qualcuno costituisse un atto intollerabile
Dopo la pubblicazione di quel libro, la scuola italiana non fu più la stessa.
Molto è cambiato da allora, nella scuola come nella società.
L'esperienza di Barbiana ebbe ua influenza significativa, e a mio avviso deleteria, nelle varie riforme della scuola e tuttora continua ad esercitare un'attrazione negativa.
Il pamphlet contro la professoressa (morta alcuni mesi fa) fu praticamente scritto da Don Milani, dopo la bocciatura di tre allievi di Barbiana, presentatisi come privatisti ad un esame in un istituto magistrale di Firenze.
La "Scuola di Barbiana", in questi anni molto mitizzata, in realtà era una specie di pre-scuola (o di dopo-scuola) parrocchiale, dove Don Milani aiutava come poteva i figli dei contadini a conseguire un titolo di studio, e se non ci riusciva, incolpava i ricchi.
In poco tempo il libro divenne un libro-bandiera, sbandierato nelle manifestazioni di piazza del '68, un libro di denuncia della natura classista della cultura e della scuola italiana, scuola che boccia i poveri.
Un libro spesso anche travisato e citato da persone che non l'avevano mai letto. Diventò il manifesto del rifiuto di qualunque forma di selezione e dell'impegno, il "manifesto" dell' antiscuola, negli anni delle lotte delle masse e della "contestazione" scolastica. La richiesta degli studenti era di non bocciare:
"La scuola dell'obbligo non può bocciare".
Il non bocciare poi, di fatto, è diventato l'appiattimento del 6 politico, "voto unico dequalificato" e la "scuola senza registri".
L'idea di dare più scuola agli svantaggiati ha creato poi orari scolastici assurdi o doposcuola oratoriali o di sinistra.
Il sistema scolastico andava sicuramente e radicalmente riformato in senso modernizzatore, ma non nella direzione demagogica e populista.
Pierangelo Rossi
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Oggi le intellighienzie del Partito Democratico (Veltroni in testa) celebrano questo testo come attuale e liberatorio,portatore di una novità pedagogica realizzabile.
Mai una neonata comunità intellettuale aveva già esaurito il suo patrimonio ideale come una mummia .
Prat Pratico
(mi scuso con le amiche e gli amici di Edunet per l'improvvida incursione )
Molti insegnanti si lamentano (ahimè siamo una categoria votata alla lamentazione inascoltata) che oggi i ragazzi, con l'uso di Internet se la sbrighino a forza di copia-incolla indiscriminato e senza nemmeno sapere da chi copiano, senza controllare l'attendibilità dei siti. A me sembra, però, che tantissimi comunicatori, "intellettuali" e anche i giornalisti accreditati facciano spesso copia-incolla; lo fanno anche i professori per approntare appunti o dispense (a scuola e altrove) e che la superficialità sia diffusa (ho già fatto l'esempio dei temi di maturità). Lo fanno i blogger assillando il prossimo coi loro link e le citazioni prese a sbafo.
Non si è ancora riusciti a gestire il fenomeno.
Direi che, per quanto riguarda il processo educativo, bisognerebbe ricominciare dalla maieutica anche con i ragazzini; insegnare a raggiungere la conoscenza attraverso il dialogo e l'analisi e a verificare le competenze principalmente tramite colloqui non solo su quanto è stato memorizzato, ma su sviluppi possibili dei dati acquisiti.
E questo richiede tempo e docenti preparati. (Ma i concorsi proprio non si possono reintrodurre? e allora continuiamo con immettere in ruolo per anzianità i precari storici? ) E poi ridurre, fino ad eliminarli, i test scritti (le instupidenti crocette...). Per farla breve, ma seria, questa è una proposta semplice e da cui l'insegnamento potrebbe per guadagnarne in dignità, efficacia e credibilità . Molto più che col grembiule, carino ma inutile.